Il mio Mistrà inizia a prendere forma circa quindici anni fà, ma lo avevo in testa fin da quando ho aperto il ristorante “Picciolo di Rame” nel 2000, i clienti anziani di queste terre mi dicevano; i piatti  vanno benissimo ma alla fine una goccia di Mistrà quello dei contadini lo dovresti tenere perchè anche quello e della nostra vero. Ho sempre risposto che quel tipo di liquore non lo potevo servire per via dei controlli. Mio padre mi regalò un piccolo Tamburlà da litro per farmi cominciare a fare esperimenti, compravo alcool lo mettevo dentro aggiungevo gli anici e distillavo,i primi tempi riuscivo a fare un ottimo Mistrà, ma il primo giudice che era mio padre mi diceva; è buono ma è poco condito. Significava che aveva il gusto dell’anice ma mancava sempre qualcosa. Così decisi di farlo assaggiare ai vecchi contadini che venivano a mangiare da me e con la mia parlantina cominciai estorcere furbamente i segreti dei loro nonni. Fu così che iniziai ad aggiungere questi loro segreti, poi le varie combinazioni alla fine circa dieci anni fa ho completato il mio Mistrà.

Questo significa che prendendo gli ingredienti segreti di questi contadini combinarli insieme e poi dosarli variando le quantità sono riuscito a far dire loro “ammazza quantè buono che cosa hai messo” la risposta era semplice, questo è un segreto.

Gli ultimi sei sette anni sono passato a farlo assaggiare ai clienti di altre regioni e nazioni, cogliendo le loro reazioni, quindi aggiustando di conseguenza le proporzioni delle essenze fino ad arrivare al prodotto attuale.

Ricapitolando- la mia ricetta è frutto della specolazione che ho fatto ai vecchi contadini maceratesi, fermani e ascolani, mentre i dosaggi e le proporzioni ai clienti veneti e trentini.

Questa è la storia che ho dovuto ristringere del  ” mio Mistrà alle  7 essenze”.