Fin da quando ho iniziato a lavorare con la mia famiglia ( terzisti ) si frequentava principalmente case contadine delle zone maceratesi, fermane e ascolane, ed è qui che mi capitava, specialmente nel momento del caffè di sentire mio padre e i vecchi contadini parlare tra loro dell’acqua “de lu puzzu” del pozzo, oppure che questa uscisse da una qualche sorgente segreta.

Ovvero del liquore Mistrà.

A volte mi è capitato di assaggiarlo, in alcuni casi mi sembrava bere proprio, in gergo contadino – buona per sverniciare, acqua ragia o diluente. Mentre altre erano si molto forti ma gradevoli sia in odore che al gusto.

Dietro a questa acqua di fuoco si narravano una marea di storie, sia di brutte ubriacature che dei suoi poteri magici nel guarire ferite e dolori, come disinfettare ferite o per curare il mal di denti.

La prassi in quest’ultimo consisteva nel fare un sorso di Mistrà tenerlo per dieci minuti nella parte della bocca dove faceva male il dente e poi bisognava sputarlo, cosa che non ho mai visto fare da nessuno, compreso io stesso, anzi a volte si inscenava un mal di denti così da poter accedere a questa miracolosa medicina.

Di aneddoti e storie ce ne sarebbero a sufficienza da scriverci un libro.

Sicuramente per me, i racconti più affascinanti erano quelli sulla produzione di questa bevanda proibita e si anche nel passato come adesso era ed è proibito produrre alcool, infatti esso è un Monopolio di Stato ora controllato dalla Guardia di Finanza, all’epoca si chiamavano Dazieri. Adesso come allora se si viene pizzicati nel distillare alcool cè la galera. Quindi immaginate all’epoca come adesso quanti sotterfugi ci fossero sia nel celare gli attrezzi che nel nascondersi per la distillazione. I più controllati erano i laboratori del rame perchè nel passato le serpentine erano di rame come in tempi moderni tutto l’apparato era di rame.

Oggi lo stato per non far perdere questa tradizione permette a chi vuole di potersi distillare solo un litro di alcool all’anno, se te ne trovano di più sono guai molto molto seri.

Qui in queste provincie l’alambicco per distillare si chiama Tamburlà formato da una caldaia in rame di una lunga serpentina attorcigliata dentro un alto secchio dove si metterà l’acqua per il raffreddamento.